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Ho sempre detestato la matematica. 

Non saprei darne una motivazione, forse a volte è più semplice odiare ciò che non si riesce a capire perché ci fa sentire a disagio, ci mette davanti alla dura realtà che ci sono cose che il nostro formidabile cervello non riesce ad elaborare alla stregua di altre.

Un aspetto però che mi ha sempre affascinato è che i principi matematici fanno parte della vita di tutti i giorni, anche se non ce ne rendiamo conto. Dalla sezione aurea, che caratterizza il mondo naturale e non solo, alle leggi della fisica, che spiegano con precisione anche gli eventi che diamo per scontati, il mondo intero poggia le sue basi su regole matematiche ben precise, e non su quella che erroneamente definiamo “casualità”. 

Magari non senti parlare molto spesso delle formule matematiche su cui si basa la fotografia digitale, però sicuramente la parola “algoritmo” ti dice qualcosa.

«L’algoritmo di Facebook è cambiato», «Il tuo sito non compare tra i primi risultati di ricerca su Google perché l’algoritmo gli attribuisce un determinato peso», frasi già sentite.

 

Ma alla fine dei conti cos’è questo algoritmo? 

Si tratta di una procedura che permette la risoluzione di problemi definiti mediante l’applicazione di una sequenza finita di precise istruzioni che, a loro volta, devono essere interpretate ed eseguite fino alla loro conclusione seguendo un ordine specifico. 

Per fare un esempio banale di algoritmo, Amazon utilizza un algoritmo di raccomandazione il quale si basa sulla popolarità per suggerire articoli correlati alle tue scelte, avvisandoti che «le persone che, come te, hanno acquistato questo, hanno acquistato anche quello».

Ora il mio obiettivo non è spiegare come funziona un algoritmo, anche perché, come ho già detto, la matematica non è proprio il mio forte.

Ciò di cui voglio parlare è di come questi algoritmi modellino e influenzino la nostra vita in maniera attiva.

Perciò se sei qui per cercare delle conferme sul fatto che la tecnologia sia la causa di tutti i mali, puoi pure fermarti qua con la lettura. 

Invece se sei curioso di capire come vivere in una realtà così strutturata in maniera cosciente, allora potresti trovare alcuni spunti di riflessione.

Perciò mente aperta, niente pregiudizi e partiamo con il chiederci: quanto di quello che decidiamo è influenzato dalle scelte di un algoritmo?

 

Cerchiamo qualcuno con cui parlare

Quando si tratta di “scelte osservabili”, come nel caso di acquistare una camicia dal taglio classico piuttosto che una in flanella a quadri, tendiamo a essere condizionati da ciò che fanno gli altri, o meglio da coloro che esprimono uno stile di vita al quale vorremmo essere associati. Proviamo ad aggiungere all’equazione gli algoritmi che prontamente ci suggeriscono cosa acquistare in base alle nostre scelte precedenti o in base a cosa acquistano gli altri, e la domanda sorge spontanea: sei tu che stai davvero scegliendo?

Non sarà certo un vestito o un’automobile a definirci come esseri umani, però a livello relazionale e sociale è ciò che permette agli altri di “inquadrarci” e quindi, implicitamente, è una dimostrazione della nostra personalità, un pezzetto di noi. 

Questa parte di noi che mostriamo agli altri e a noi stessi è effettivamente frutto di una nostra libera scelta o è influenzata, oltre che da tutte le varie dinamiche sociali e culturali, anche da quello che un algoritmo ha scelto per noi?

Per capirci qualcosa di più, in questi giorni ho fatto una full immersion nel mondo dei chatbot, software che dialogano con le persone, assistenti capaci di rispondere a una serie di domande preimpostate. Nel mio caso ne ho approfittato per testare ManyChat.

Per il mio campo d’azione lo trovo uno strumento divertente da utilizzare, con un buon grado di personalizzazione e che permette di creare flussi di messaggi mirati a intercettare proprio coloro che dimostrano dell’interesse verso un certo brand andando a richiamare la loro attenzione, oltre ad essere validi strumenti per il customer service.

 

Ti presento Laila

Nel caso di ManyChat si tratta di una tecnologia che potremmo definire ancora “grezza”, ossia sono io a dirgli cosa fare e il chatbot si limita a seguire il percorso da me costruito, nulla di più nulla di meno.

Tuttavia la tecnologia alla base dei chatbot combinata con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sta portando a creare strumenti sempre più sofisticati e potenti che permettono di capire quali azioni, finora svolte manualmente, possono essere sostituite da sistemi automatici. 

Il settore dell’AI è in vero fermento e il deep learning sta compiendo grandi balzi in avanti grazie all’enorme mole di dati disponibili e allo sviluppo di infrastrutture sempre più performanti.

Pertanto quello che è un chatbot programmato per rispondere a una serie di domande predefinite, si sta evolvendo in realtà sempre più intelligenti e studiate per riprodurre le interazioni umane. 

Un esempio è Laila, un chatbot di seconda generazione progettato dalla startup italiana Mazer. L’idea dietro Laila è quella di puntare sulla sentiment analysis. Attraverso l’implementazione di algoritmi intelligenti che analizzano i dati degli utenti e il loro comportamento, Laila è in grado di offrire risposte basate sul loro stato d’animo. Un vero e proprio assistente che interagisce con gli utenti andando a smorzare i toni della conversazione per avvicinare gli utenti al brand e “umanizzarlo”.

Sostanzialmente stiamo dicendo che per umanizzare un brand si utilizza una “macchina”, il che può apparire contro ogni logica, ma a quanto pare questo tipo di algoritmo ha qualcosa in più, è in grado di capirti e di darti ciò che realmente vuoi: qualcuno che ti ascolti.

 

Forse ci stiamo solo ponendo la domanda sbagliata

Stiamo entrando in un mondo iperconnesso, iperpersonalizzato (o iperpersonalizzabile) e in cui non ha più senso cercare di tracciare un confine tra noi e le macchine, come evidenzia il report di Merge.

Le informazioni che disperdiamo in maniera più o meno cosciente nel web non vengono solo organizzate, ma gli algoritmi sono in grado di elaborarle dandogli un significato più profondo, in modo da comprendere i nostri comportamenti e analizzarne il contesto. Secondo tale studio gli assistenti che fanno già parte delle nostre vite, come Google Home o Alexa, riusciranno ad anticipare i nostri desideri e le nostre esigenze aiutandoci a prendere ogni decisione. In un panorama così delineato, il Marketing potrebbe essere completamente rivoluzionato e i brand potrebbero iniziare a influenzare direttamente gli algoritmi, con ricadute determinanti sulla definizione di chi siamo e del modo in cui compiamo le nostre scelte. 

 

Una guida su come prendere il controllo

Su queste tematiche e molte altre inerenti lo sviluppo dell’AI e del modo in cui essa verrà applicata alla nostra quotidianità, è interessante l’approfondimento di Kartik Hosanagar, docente di operazioni, informazioni e decisioni della Wharton University. Nel suo recente libro «A Human’s Guide to Machine Intelligence: How Algorithms Shaping Our Lives and How We Can Keep in Control», Hosanagar esplora come lo sviluppo dell’AI abbia reso il processo decisionale algoritmico molto più complesso, andando a influenzare ogni aspetto delle nostre vite. A volte è visibile, come nel caso delle “raccomandazioni” di Amazon, a volte no, ad ogni modo secondo Hosanagar è innegabile che gli algoritmi abbiano un ruolo fondamentale sulle nostre decisioni.

Dai dati raccolti nel suo studio emerge che un terzo delle scelte che facciamo su Amazon si basa sul sistema di raccomandazioni dello stesso, l’80% delle attività di visualizzazione su Netflix sono influenzate dal suo algoritmo, Google ci mostra solo lo 0,001% dei risultati di ricerca; ne deriva che gli algoritmi non si limitano a offrire dei consigli, ma costruiscono il nostro percorso decisionale.

 

Attivo o passivo?

Nell’universo sterminato di informazioni che circolano in rete, gli algoritmi ci permettono di risparmiare molto tempo, ma ci rendono anche passivi, non ci stimolano ad andare oltre a ciò che ci viene proposto, ci accontentiamo per l’appunto dei primi risultati di ricerca.

Hosanagar osserva che una possibile soluzione a questo problema potrebbe essere «impegnarci più attivamente e deliberatamente ed essere parte del processo di influenza sullo sviluppo di queste tecnologie».

In effetti è riscontrabile come oggi si tenda a stigmatizzare la tecnologia, ad averne paura oppure, al contrario, a glorificarla. Due strade che non portano a nulla.

Ci dovremmo concentrare su altro, intendere gli algoritmi come intendiamo la matematica, qualcosa che ci circonda, che è presente in maniera preponderante nella nostre vite e che per questo va studiata, compresa e utilizzata con cognizione di causa, senza fare affidamento al caso.

Pertanto la vera domanda è: vuoi influenzare o essere influenzato dagli algoritmi?