
Hai letto bene, non è un errore. Evidentemente il titolo di questo articolo è una provocazione: l’analisi è e dev’essere il punto di partenza per ogni nuovo progetto.
Troppo spesso, però, l’analisi deve essere venduta, nel senso che il professionista/agenzia è costretto a doverne argomentare nel modo più convincente possibile la fondamentale utilità, quasi dovesse giustificarsi del compenso che poi andrà a richiedere.
Invece, l’analisi dovrebbe essere data per certa, «senza se e senza ma!».
Vorrei condividere con te alcune considerazioni a riguardo, in base all’esperienza d’agenzia maturata in quest’anni.
Il percepito dell’analisi
Ultimamente mi sto chiedendo in modo sempre più pressante: perché l’analisi è spesso vista come «un qualcosa in più»?
Sono giunto a 3 possibili risposte:
- «se non vedo, non credo»: il cliente tende a giudicare in modo positivo o negativo l’agire del consulente sulla base delle attività pratiche che porta a termine. L’analisi si configura come un’attività connotata da scarsa concretezza e quindi percepita di poco valore;
- «sono solo soldi in più»: per quanto detto al punto precedente, il cliente non è ben disposto a riservare un budget a questa attività e, anzi, la considera come l’ennesimo servizio fuffa proposto dal lesto consulente;
- la paura della realtà: quando abbiamo un’intuizione e la condividiamo con gli altri, diciamolo, è brutto sentirsi dire che, in realtà, siamo giunti a una conclusione affrettata, dettata dall’entusiasmo, o quantomeno parziale, che non tiene conto di tanti altri fattori. L’analisi può smascherare le lacune dei progetti e smorzare l’intraprendenza. «Occhio non vede, cuore non duole: saltiamola e vediamo come va, sarà un successo».
Attenzione: fortunatamente esistono clienti e collaboratori con cui ho e ho avuto il piacere di lavorare che considerano l’analisi come essenziale. Purtroppo mi rendo conto che è una minoranza. Ma non possiamo fermarci qui.
Non è solo colpa dei clienti
Recentemente ho partecipato a una giornata di formazione dove appunto si enfatizzava il ruolo dell’analisi come primo step per ogni progetto. In un momento di networking con altri titolari di agenzia e consulenti marketing ho condiviso tutte queste mie considerazioni sull’analisi e, lo ammetto, con grande sollievo, ho appurato come si tratti di un problema davvero comune e vasto. Indipendentemente dalla grandezza e dal prestigio dell’agenzia, la criticità di come valorizzare l’analisi per inserirla organicamente nel processo di lavoro risulta una costante. Il senso di sollievo sopracitato, però, puzza di rassegnazione e, personalmente, non ci sto!
Il problema, quindi, sta anche in noi professionisti: chi può permettersi il lusso di rifiutare un incarico in quanto il cliente non è disposto a pagare l’analisi? Davvero in pochi. E allora accettiamo di gettarci nel buio, avanzando poi, nel corso della collaborazione, un processo di analisi parallelo all’operatività quotidiana. Perché percepiamo quel gap, dobbiamo colmarlo, è questione di pace interiore, è questione di avere un visione. Ma è troppo semplice nascondersi dietro alle incomprensioni del cliente poco sensibile: che ci aspettavamo? È proprio per questo che si è affidato a noi!
Il giungere al bivio «o analisi, o arrivederci» lo ritengo una sconfitta come professionista, anche se purtroppo è spesso stato l’epilogo di tanti progetti mai realizzati, o fondati su palafitte di mollica. E allora dobbiamo ogni giorno ideare e perfezionare nuove soluzioni per far sì che l’analisi ricopra il ruolo che merita, per diffondere nel mondo il principio della pianificazione e dello studio, a premessa e garanzia dei risultati.
La sottile differenza sta nel mondo in cui interpretiamo questa missione: condividiamo l’oggettività dei risultati raggiunti grazie ai processi di analisi, formiamo il nostro pubblico sulle tecniche e le modalità di osservazione e lasciamo perdere l’aspetto commerciale. Se abbiamo fatto bene il nostro lavoro, gli incarichi non tarderanno ad arrivare.