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È stato senza dubbio il topic della settimana: Instagram cambia look, una nuova icona, una nuova interfaccia grafica. Ma diciamocelo, è pur sempre lui.

Volendo usare una metafora: ha raccolto le sue cose, approfittandone per fare un po’ di pulizia, e si è trasferito in una casa a tetto piano, in quel quartiere che va tanto di moda. Tuttavia, se suoni al campanello, sarà sempre lui ad accoglierti. È vero, la casa ha meno carattere: tutto quel vuoto, tutti quegli spazi fin troppo ariosi, quell’ordine quasi maniacale. Poi, dopo i convenevoli, Instragram ti offre la solita, ottima e freschissima birra: brindisi, si chiacchiera, si ride. E allora ti rassereni e capisci che Instagram è sempre lui, è solo evoluto.

 

Il caso Instagram: critiche e riflessioni

L’interfaccia grafica è stata appiattita a livello cromatico, dando così risalto ai colori delle foto caricate nello stream. Il restyling dell’icona, invece, ha suscitato non poche perplessità, tra nostalgici e critici, tra sostenitori e boicottatori. A una settimana circa dallo scandalo/capolavoro, vi riporto le mie considerazioni critiche sull’argomento, giungendo a una conclusione che, sia chiaro, è del tutto personale.

Mi son chiesto:

è l’icona che rende un’app un’App?

Nel caso di Instagram, personalmente risponderei “no”. Qualora si trattasse di un’app neonata, allora decisamente “sì”, l’icona ha un ruolo chiave: è la prima manifestazione estetica che l’utente vede, osserva e valuta nell’app store di turno, anche in relazione al nome che è presente sotto.

 

Esattamente come nelle persone, anche le icone delle app possiedono una loro comunicazione non verbale (CNV): ogni colore ha una connotazione diversa, rimanda a significati differenti, in poche parole ogni elemento grafico ci suscita delle impressioni che difficilmente ci abbandoneranno. Questo discorso, però, è valido per le app che non conosciamo o con cui ci relazioniamo per la prima volta. Invece, per le app che utilizziamo ogni giorno, l’icona si trasforma nel tempo in un punto di accesso, un mero quadratino nello schermo del nostro dispositivo che ci permette di lanciare l’app.

 

Funzionalità vs Estetica

Riflettete, nel caso dello smartphone, su come la maggior parte delle nostre azioni siano di natura schematica/mnemònica: raggruppiamo le app in gruppi con nominativi suggeriti dal sistema operativo (“Social network”, “Video”, “Utility”); posizioniamo le icone delle app in sezioni dello schermo strategiche, per ottenere un accesso più rapido e disponibile in ogni view; eseguiamo sequenze di tap, doppi tap, pinch e slide quotidianamente e in modo quasi automatico, senza soffermarci su quella particolare sfumatura di colori dell’icona dell’app, piuttosto che sulla sua nuova grafica. Quindi, siamo fruitori di funzionalità, non di estetica: l’interfaccia (grafica, in questo caso) è ciò che assicura la comunicazione tra due sistemi altrimenti incompatibili, utente e computer, e raggiunge il suo apice di efficacia quando appare invisibile agli occhi dell’utilizzatore (a tal proposito, consiglio il libro The best interface is no interface by Golden Krishna). Pertanto, indipendentemente dall’aspetto grafico dell’icona, sappiamo accedervi anche a occhi chiusi, perché ne abbiamo memorizzato la posizione fisica nel display e abbiamo associato un percorso di interazione manuale al suo avvio.

In breve: anche se avessero proposto un’icona giallo fosforescente per Instagram, il nostro rapporto con l’app non sarebbe cambiato di una virgola, come non cambia tuttora.

«Ma non hai scritto poco sopra che l’icona è un’importante strumento di branding?»

È vero, lo è, ma solo nelle app da poco lanciate nel mercato, anzi, oserei dire solo per le app sconosciute al mercato. Per tutte le altre (compresa Instagram) è pura praticità, è un pulsante.

Rispondo alla domanda iniziale: sono funzionalità e community a rendere un’app un’App, con la “A” maiuscola. Secondo voi?