Disinnescato il freno del dolce procrastinare, durante questa pausa estiva mi sono finalmente dedicata ad una lettura che attendeva da tempo: Memestetica, il settembre eterno dell’arte – di Valentina Tanni (NERO, Roma 2020).
Lungi da me l’idea di farne un riassunto stile “rientro scolastico dalle vacanze”, approfitto di questo spazio per annotare alcune riflessioni che sono nate durante la lettura, appuntando di quando in quando qualche chicchetta per stuzzicarvi.
GIUDICHIAMO IL LIBRO DALLA COPERTINA
Doveroso da parte mia parlarvi del libro in quanto artefatto grafico:su una cover blu scuro staccano delle entusiastiche scritte rosa porcellino, piene di orpelli e tutt’altro che minimal.
Se sul fronte un gatto pixellato a due zampe la fa da padrone, sul retro il codice a barre del volume viene calpestato da un micio munito di ben otto zampe – entrambi riferimenti citati all’interno del saggio. Si tratta di due creature mitologiche frutto di photoshoppate fallite (o ben orchestrate): l’Half Cat ed il Long Cat. La prima immagine è stata per molto tempo ritenuta frutto di un panorama fail di Google Street View, per poi rivelarsi nel 2013 prodotti di un’alterazione volontaria di un normalissimo gatto bianco a passeggio per le vie di Ottawa city. Nonostante ciò la sua versione dimezzata è diventata un classico del genere surreal memes.
Tornando al libro e alla sua grafica, le pagine color avorio in carta degna di esser definita tale (sniffarle per credere), racchiudono anche parecchie immagini – rigorosamente in bianco e nero – corredate da didascalie scritte talvolta in verticale. Tutte le immagini collegate al libro tra l’altro sono raccolte su www.greatwallofmemes.com
All’inizio di ogni capitolo c’è una citazione scritta in Mirelle Script, font di Pablo Desportes che, diciamolo, risulta un po’ hard cores da decifrare a piccole dimensioni e se ne frega della leggibilità, in favore però di un layout senz’altro interessante.
Il TITOLO
Memestetica nella mia testa risuona come “l’indagine filosofica mirata alla definizione e alla classificazione del fenomeno artistico dei meme”.
Dopo un’attenta ricerca Google, non ho trovato prove al riguardo ma fidiamoci di me.
Leggendo il libro invece ci imbattiamo più volte nel termine memetica (p.68), ovvero una teoria diffusasi negli anni Settanta che postula l’esistenza dei “meme”, entità con la stessa funzione dei geni ma in ambito culturale… insomma, dalla biologia al web. Come elemento di comunanza troviamo la predisposizione al contagio, “cioè la capacità di attecchire e dilagare viaggiando da mente a mente, da persona a persona”.
Se il termine virale di questi tempi c’è poco simpatico, usiamo allora la parola spreadable coniata da Henry Jenkins. Questi contenuti non sono fantastici solo perché altamente condivisibili – e lo sono – ma più che altro per la facilità con cui noi tutti tendiamo ad appropiarcene e a mutarli secondo nostra discrezione, reinterpretandoli per poi reinserirli nella grande matassa dell’internet.
Siamo dunque tutti artisti?
Valentina Tanni teorizza che gli artisti affermati siano un po’ indispettiti da questo mix tra arte e vita, sebbene dal tempo delle avanguardie storiche si puntasse proprio a questo (p. 98). Veloce ripassino: cosa volevano le avanguardie? Volevano “emancipare l’attività artistica dalle costrizioni dell’Accademia, dai legacci dello stile, dalle prigioni della tecnica…” (p. 134)
Ora però che la divisione tra pubblico ed artista si va assottigliando, più che vederla come un’opportunità in molti la vedono come una svalutazione dell’arte. Se essa diventa gesto quotidiano, perde il suo status di evento extra-ordinario, elitario.
Chissà, tra un po’ magari non sapremo distinguere una performance della Abramovic da una Internet Challenge.
IL SOTTOTITOLO
“Il settembre eterno dell’arte”
Per la precisione, parliamo del settembre 1993, periodo in cui internet iniziò a diventare un mezzo di comunicazione di massa.
L’autrice applica questo concetto al contesto artistico, per cui “il settembre eterno dell’arte” è ora, visto che “l’impulso creativo sta diventando un comportamento diffuso” (p. 13). Ormai vedere non rimane più un’azione isolata, ma innesca una serie di conseguenze: “vedo, fotografo, condivido” (p. 28)
“Pics or it didn’t happen” potrebbe diventare il payoff di Instagram e di tutte le nostre stories…
E la catena potrebbe non finire qui, se pensiamo che ogni nostra foto potrebbe venir scaricata, modificata (o memezzata) e ributtata in rete, in un ciclo continuo dagli esiti imprevedibili. Il capitolo “il dirottamento delle immagini” parla proprio di ciò, analizzando le più classiche mutazioni tra le opere più note.
Si passa da inserimenti anacronistici
alla semplice aggiunta di scritte
sino a quello che viene definito “renactement” o “tableau vivant”, giusto un po’ di smania di protagonismo!
Avete mai pensato alla moltitudine di immagini caricate in rete ogni secondo? Nel 2012 il mio amato Erik Kessels ha stampato tutte le foto caricate su Flickr in una giornata, dando luce all’installazione “24 hrs in Photos”. Stiamo parlando di 350.000 immagini, che mettono in mostra sia il pubblico che il privato di vari utenti, senz’altro un sovraccarico di immagini a cui siamo tutti esposti ogni giorno. La sensazione di affogarci dentro, di perdersi in questo marasma, è proprio ciò a cui Kessels ha puntato.
COSA MI RIMANE
Oltre alla musica latina che la gente non sa ancora ascoltarsi in spiaggia con le cuffiette (!!!), oltre ai bambini urlanti, oltre al Agua-Cerveza-Beeeer che questa estate ha sostituito l’imperituro Coccobello-bello-bello, di questa lettura da spiaggia – che molto da spiaggia non è – mi rimangono vari concetti e vari quesiti.
Alla fine chi ha ragione, l’artista classista o il boomer che modifica con paint una foto e si sente parte del sistema dell’arte?
Non credo che nel post-internet l’arte “alta” non possa ritagliarsi un suo spazio.
Non penso che la signora della Cinnamon Challenge sia veramente paragonabile ad una performance di Marina Abramovic, così come non penso che se io tagliassi una tela col cutter verrei paragonata a Fontana.
Internet ha eclissato le frontiere, nell’ambito dell’immagine così come in quello della musica, ma non tutti i cantanti che possiamo ascoltare su YouTube avranno mai l’impatto dei Queen.
Mi piace però pensare che in questo eterno settembre sia data possibilità a tutti di rispondere alla “necessità biologica” di produrre immagini – Aby Warburg, 1923.